C’era un tempo una ragazza che combatté la battaglia per la libertà, c’è ora una donna anziana che parla la lingua degli alberi, dei venti, della natura. Non quella, soltanto umana, del disprezzo per gli altri.
Nel nuovo libro di Lorenzo Marone, il bosco riassume il valore di tutte le vite mute e giuste.
Ecco come lo scrittore presenta Il bosco di là, e un estratto. Buona lettura.
Con Il bosco di là ho proseguito il camminamento sul sentiero già intrapreso con La donna degli alberi, sentivo d’essere in debito con uno dei suoi personaggi, la Guaritrice, una donna anziana muta capace di parlare alle cose del bosco, alle piante e agli animali, capace d’essere un tutt’uno con loro, e di prendersi cura dei bisognosi, di tendere la mano agli ultimi.
Matteuccia nasce un po’ da qui, un po’ dalla voglia di omaggiare e rendere onore alle staffette partigiane, che hanno contribuito alla vittoria della Seconda guerra mondiale, che la guerra l’hanno fatta in prima persona, rischiando la vita per la libertà, per difendere le loro terre, i loro uomini e la famiglia dalla furia nazista e fascista.
Portavano vivande, farmaci, armi e munizioni ai partigiani rifugiatisi sui monti e nei boschi, le vedo sorridere fiere e gioiose nelle foto d’epoca, e sono giovani, belle, piene di forza, e mi pare così ingiusto non trovare tutti i loro nomi nei libri, così colpevoli gli uomini, che da sempre si scambiano e si cedono il potere, e decidono pure chi s’ha da ricordare.
Nel Bosco di là racchiudo la voglia mai sazia di parlare di donne, raccontare della loro fierezza e dei silenzi imperscrutabili, e poi della bellezza e del fascino della natura, del bosco, della dignità degli animali, il desiderio d’immaginarmi un mondo altro nel quale l’essere umano, l’albero e la bestia hanno eguale valore, e son capaci di capirsi, d’amarsi, di rispettarsi e aiutarsi.
Volevo costruire una favola, e strada facendo ho sentito anche il richiamo del reale. Il male, che viene sempre e solo dagli uomini, non fa male purtroppo solo agli uomini, esiste un ordine esterno nel quale tutto è connesso; alcune anime superiori, capaci di ascoltare ed ascoltarsi, riescono a percepirlo, a scovare il brillio di luce che su tutto cade, e di questo possono bearsi, da questo possono farsi sorreggere e aiutare. Matteuccia gode della protezione delle ninfe e del vento, mi piace pensare che quelli come lei siano scortati nel quotidiano da questo “altro” che non tutti percepiscono. Nulla d’eclatante, nessun miracolo, solo una dolce e debole brezza che spira come Aura, il vento benigno che s’impone d’aiutare Matteuccia a non perdere la bussola. Mi piace immaginare un mondo nel quale mito e realtà si confondano, e dove anche la piccola morte di una vecchina muta, coraggiosa e sola scuota il senso delle cose, cambi la direzione del vento, imponga agli alti cipressi il silenzio. Oso immaginare che ci siano altri regni a portare rispetto alle anime giuste laddove non arrivi la gratifica dell’uomo per l’uomo.
Attraversò la foschia col respiro trattenuto, gli alberi centenari le sfilavano accanto e dagli antichi tronchi si levavano leggeri sibili d’incoraggiamento. Le ultime foglie invece tacevano dai rami spogli, la giovane e allegra brezza di campagna, usuale abitatrice di quei campi per buona parte dell’anno, iniziava a vedersi poco con l’approssimarsi dell’autunno.
Aura, la chiamavano da sempre gli abitanti del luogo, figlia di Borea il gradasso, signore delle tempeste, dio della tramontana e portatore dell’inverno, era timida e introversa, così distante dai modi del padre, amava vivere nascosta nei boschi, a conversare con le driadi delle querce. Ma Borea la voleva forte e altezzosa, sperava di tirarla su come i venti del nord, che sibilavano sulle cime lontane e squassavano i versanti imperversando sulla povera gente di montagna, soffiando loro il nevischio sul viso e ridendo arroganti. Aura li seguiva muta e se ne stava nelle retrovie, l’inverno non era il suo tempo, e allora i grandi venti la schernivano, seppur in tono affettuoso, per non offendere Borea, e la spingevano, sarebbe meglio dire costringevano, a dire la sua, semmai sul finire del giorno.
A quel punto, dai pendii più lievi scendeva una corrente leggera e fredda che gelava la rugiada e le pergole dei tetti, ma non aveva la tempra per inchinare le fronde ai maestosi alberi.
In primavera, però, quando i presuntuosi e primitivi venti invernali si ritiravano per il giusto riposo, Aura era libera di scorrazzare tra i campi in fiore, e c’era chi giurava di sentirla ridere mentre solleticava le mammelle delle vacche, accarezzava le margherite e faceva alzare in volo i fringuelli, o quando con un soffio veloce smuoveva i capelli alle giovani, a scoprir loro il collo. Era un venticello discolo e benigno, poteva giungere d’improvviso a scompigliare le feste patronali, ma in fondo accompagnava dolcemente la vita delle persone.
Per Matteuccia non era nemmeno vento, ma un alito d’aria fresca che le svelava segreti, le parlava sottovoce. Si strinse nel cappotto, le guance intirizzite, cercò di allungare il passo, il temporale all’orizzonte l’avrebbe presto raggiunta.
Lorenzo Marone Autore di successo, ha pubblicato da Longanesi La tentazione di essere felici (2015, 18 edizioni in Italia, Premio Stresa 2015), che ha ispirato un film, La tenerezza, con regia di Gianni Amelio, e La tristezza ha il sonno leggero ( 2016). Con Feltrinelli Magari domani resto (2017, 8 edizioni, Premio Selezione Bancarella 2017), Un ragazzo normale (2018, Premio Giancarlo Siani), la raccolta Cara Napoli ( 2018), Tutto sarà perfetto (2019) e La donna degli alberi (Feltrinelli 2020). È tradotto in 17 paesi, ha una rubrica domenicale (I Granelli) su ‘La Repubblica di Napoli’, collabora con TuttoLibri de La Stampa e Il Venerdì di Repubblica.
Dal 2018 è direttore artistico della fiera del libro di Napoli “Ricomincio dai libri”.
Vive a Napoli con la moglie Flavia, il figlio Riccardo e la bassotta Greta, il suo Cane Superiore.