di Giuseppe Barbera
L’agricoltura biologica cambia soltanto i mezzi di produzione (da quelli di sintesi a quelli organici) per accedere ai mercati sensibili alle tematiche ambientali, oppure è capace di un vero approccio non riduzionista? Apriamo la discussione, a partire da questo brano tratto dall’ultimo libro di Giuseppe Barbera, Antropocene, agricoltura e paesaggio.
La critica più evidente ai sistemi dell’agricoltura intensiva contemporanea è data dal successo internazionale dell’agricoltura biologica o come diversamente è inteso (organica, biodinamica, permacoltura e così via) quel modello produttivo che esclude i pesticidi (adesso pudicamente si preferisce chiamarli agrofarmaci) e i fertilizzanti chimici di sintesi, e promuove le rotazioni colturali e la circolarità dei nutrienti anche ai fini di incrementare i contenuti di sostanza organica nel suolo e con essa la fertilità variamente intesa.
Un modello che può però ridursi alla sola sostituzione dei mezzi di produzione (da quelli della chimica di sintesi verso gli organici) per accedere a mercati attenti alla qualità delle produzioni e sensibili alle tematiche ambientali e sanitarie.