C’È MODA E MODA

di Marina Spadafora

130 miliardi di capi di abbigliamento prodotti ogni anno. Causano inquinamento delle acque, uso di pesticidi, rifiuti, sfruttamento dei lavoratori. Se crisi è anche opportunità, approfittiamo di questo tempo di riflessione per scegliere fra la moda usa-e-getta e la moda etica, che minimizza i danni sociali e ambientali. Oggi più che mai siamo noi consumatori a fare la differenza.

Questi giorni di stop forzato sono, nella tragedia, un’inaspettata opportunità. L’ideogramma cinese per la parola crisi è composto di due segni che significano pericolo e opportunità.
Scegliamo l’opportunità!
Avere tempo per noi e per i nostri pensieri ci da, a mio parere, la capacità di immaginare un futuro dove molte cose possono cambiare e anche per il meglio.

Mi occupo di moda da molti anni e da 13 anni mi sono focalizzata sul tema della moda sostenibile. Mi auguro che questo tempo di riflessione aiuti tutti a capire che i nostri comportamenti fino ad oggi sono stati insostenibili.
Utilizziamo ogni anno molte risorse in più di quelle di cui dispone il pianeta.
Le famose risorse non rinnovabili vengono utilizzate senza freno e senza pensare alle generazioni future.
Il termine stesso “sostenibilità” nella moda è così definito: “la moda etica rappresenta un approccio al design, all’approvvigionamento, alla produzione e al consumo che massimizza i benefici per le persone e le comunità riducendo al minimo l’impatto sull’ambiente”.
In questa frase si racchiude il nuovo approccio che deve essere applicato a tutte le fasi produttive di tutti i prodotti. 
I consumi devono assumere un valore non solo economico ma anche morale.

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D’ora in poi saranno i consumatori a dettare l’agenda dell’economia mondiale, ma devono essere supportati da leggi che impongano delle regole a questa industria, come già succede nel settore alimentare, farmaceutico e cosmetico.
Nel caso specifico della moda, se tutti noi facessimo un po’ di ricerca prima di acquistare un capo d’abbigliamento, un accessorio o un gioiello, potremmo identificare i brand che si stanno impegnando seriamente sul fronte sociale e ambientale e così facendo potremmo evitare di finanziare aziende che continuano a operare seguendo le regole dell’economia lineare dove si progetta, si produce, si consuma e si getta via.
Questo modello, ormai obsoleto e insostenibile, va sostituito con l’economia circolare dove ogni oggetto quando viene ideato ha già in sé le caratteristiche per poter essere riutilizzato alla fine del suo ciclo vitale.
“From cradle to cradle” ovvero dalla culla alla culla.
Ecco che i fenomeni come la “fast fashion” o moda usa-e-getta cessano di avere qualsiasi tipo di attrattiva per i consumatori al di là del prezzo basso che coincide con bassa qualità e sicuramente con lo sfruttamento delle maestranze tessili mondiali.
L’industria della moda dà lavoro a 70 milioni di persone mentre quella tessile in generale coinvolge 300 milioni di lavoratori.
Parliamo del benessere e dei diritti di tantissime persone che fanno parte della grande famiglia umana a cui apparteniamo tutti.
In una visione olistica della vita la corretta antropologia va mano in mano con una corretta ecologia perché la terra e l’umanità sono intrinsecamente collegati.

Ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di capi di abbigliamento.
Il 20% di tutto l’inquinamento idrico mondiale è una diretta conseguenza delle attività dell’industria tessile.
Il 25% dei pesticidi agricoli vengono utilizzati per crescere il cotone.
Comperare di meno e di migliore qualità e far durare i nostri capi sono le regole d’oro per il futuro.

Mi auguro che dopo questa pausa si rientri in società più coscienti e risvegliati al fatto che ognuno di noi può fare la differenza iniziando a comportarsi in modo responsabile e che solo uniti in questa battaglia raggiungeremo la massa critica che farà cambiare direzione all’industria che pur creando bellezza oggi causa ancora fame e inquinamento.

Marina Spadafora, Fair Fashion Ambassador, ha appena pubblicato La rivoluzione comincia nel tuo armadio. Www.marinaspadafora.com.

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