Mesi di distanziamento, di isolamento. Abitudini e certezze sconvolte. Come reagire, come ricostruire il futuro? Ora più che mai è il tempo della radio. Un medium che risponde al nostro bisogno di ascolto, di racconto, di condivisione e comunità. E che può riscoprire una capacità straordinaria: comunicare avendo qualcosa da comunicare. Anche sui temi ambientali.

“Mi piace la televisione perché se chiudo gli occhi mi sembra di ascoltare la radio”. Con queste parole, negli anni Sessanta, una donna vinse negli USA un concorso che premiava gli slogan più efficaci per descrivere l’amore per la radio, sottolineando (forse inavvertitamente) quanto per lei fosse fondamentale l’ascolto. Ancora oggi e forse più di sempre abbiamo bisogno di narrazioni e di ascolto condiviso. Di fare sentire la nostra voce e di recuperare la necessaria capacità di ascolto degli altri. Il coronavirus ha scombinato le nostre abitudini e alcune certezze collettive, le azioni quotidiane sono mutate, i nostri movimenti ridotti (in qualche caso impediti), le nostre abitazioni sono vissute improvvisamente con un tempo diverso da quello a cui eravamo abituati.
È ancora il tempo della radio, un medium nato per annullare le distanze e che mantiene inalterato il potenziale di fare sentire le persone a casa; “sentirsi a casa” (domesticity) in radio, in un ambiente famigliare allargato. Il distanziamento e, per molti, l’isolamento di questi mesi, hanno generato una forte ricerca di dialogo e di un senso di comunità e la radio può proporsi come il luogo di una fiducia quotidianamente rinnovabile. Una radio abitata che condivida valori, stili di vita, passioni e che includa gli altri, nel proprio immaginario e nella sua proposta: attraverso le voci, la programmazione, le iniziative.

Per il mondo della radio si può aprire davvero una nuova stagione che riscopra la capacità di comunicare avendo qualcosa da comunicare. Radio piccole e grandi, nazionali e locali, generaliste e web-radio mirate, capaci di dare voce a tante community di ascoltatori che riconoscano sensibilità comuni e una voglia di presente che è urgente ridisegnare. Una stagione di cui dovrebbe essere maggiore interprete la radio pubblica, uscendo da un periodo di declino che ha progressivamente allontanato molti ascoltatori.
Ho lavorato per quarant’anni nella radio della Rai e specialmente negli ultimi anni abbiamo dato vita su Radio2 a una serie di programmi realizzati nella sede di Milano che hanno sempre tenuta viva la voglia di fare radio per gli ascoltatori e quindi la voglia di comunicare, di proporre materiali parlati e musicali (anche inusuali), utilizzando un tono informale ironico e autoironico e un enunciato lieve, che è il modo più rispettoso di esprimere la “tenerezza” per sé e per l’altro.
Nella lunga stagione di Caterpillar, che ho curato dal 1997 al 2018, abbiamo potuto costruire una comunità di ascoltatori che si riconoscevano nel desiderio di ascoltare il programma. Lavorando in tutte le direzioni: seguendo la cronaca nazionale e internazionale, le notizie di prima pagina e quelle marginali, convocando gli ascoltatori a partecipare alla conduzione del programma sino a diventare corrispondenti di Caterpillar, adottando e condividendo problematiche ambientali che ancora non si erano imposte all’attenzione dei media, producendo importanti iniziative territoriali (M’illumino di meno, il CaterRaduno) che restituissero fisicità alla relazione di chi fa radio e di chi l’ascolta. Un programma che nasceva dalle esperienze delle radio di tipo comunitario e che credo possa essere la radio di un nuovo presente. Da mettere accanto alle nuove possibilità che offre il podcast con la riscoperta dei generi, della serialità audio, dell’ascolto autonomo, disgiunto dalla messa in onda in diretta. Come ha scritto Enrico Menduni nella prefazione di un libro che racconta La radio in Italia, è la leggerezza l’arma vincente della radio, ancora oggi come sempre…un medium di sicuro non centrale nelle vite di molte persone, ubiquo, facile, scambievole, interattivo, poco costoso, disponibile, inclusivo. Un medium del futuro, dunque.