Un uomo con una diagnosi impegnativa e faticose cure da affrontare. E un grosso randagio a pelo lungo, mezzo cieco, mezzo sordo, totalmente inadatto alla convivenza.
Da quell’incontro fra Rick, giornalista premio Pulitzer malato di linfoma, e Speck, pastore australiano abbandonato e incorreggibile, nasce un libro che diverte e commuove. La storia di due malinconie e di una duplice guarigione.
Qui, in anteprima, il momento del loro incontro.
La prima volta che vidi il cane, stava banchettando su una confezione del fast-food in mezzo alla strada. Non si vedono tanti cani a pelo lungo tra i randagi, e questo bastò ad attirare la mia attenzione. Ero vicino alla cassetta delle lettere, e stavo sfogliando bollette, volantini e una lettera della lotteria che mi faceva le congratulazioni, perché, di nuovo, ero quasi miliardario. Altri quattro o cinque randagi si radunarono attorno al cane dal pelo lungo, tenendomelo lontano. Sembravano imparare in fretta a evitare gli esseri umani, i cortili e le case, come se si rendessero conto che ormai vivevano solo ai margini cenciosi di tutto questo. Cercai di non soffermarmi troppo su quel pensiero.
Sulla carta doveva essere rimasto un sentore di cibo, perché quando gli altri cercarono di prenderla lui li attaccò, ringhiando con ferocia. Io raccolsi una manciata di ghiaia sporca da lanciargli, per cacciarli o almeno farli allontanare dalla strada, ma proprio in quel momento un furgone imboccò rombando la curva e, senza nemmeno rallentare, spedì i randagi nei fossi ai lati della strada. Non so come fece a mancarli.
Mentre quello schizzava via, uno dei cani più piccoli sfrecciò sulla strada, sgraffignò il pezzo di carta e corse come un pazzo, con gli altri sulla sua scia. Io depositai la ghiaia sulla strada, contento che nessuno di loro fosse rimasto ucciso. Era il gennaio del 2017, e non avrei scommesso un centesimo sulla sopravvivenza del cane a pelo lungo fino al mese successivo
Qualche mese dopo stava ancora correndo nei fossi, ancora litigandosi la spazzatura e gli animali investiti. Furono i peli bianchi sul suo muso lentigginoso e la sua coda cespugliosa, simile a una bandiera, a catturare il mio sguardo, altrimenti forse non lo avrei nemmeno notato. Dopo che questi cani se ne sono andati in giro per un po’ con i randagi, appostandosi nell’ambrosia o cacciando i vermi nel pattume, cominciano a confondersi anche loro con l’immondizia. Li vedi, e al tempo stesso non li vedi, finché non ne vedi uno accasciato sull’asfalto. Allora, per qualche tempo, diventa tutto più nitido, più crudele. Anche i miei fratelli lo notarono, qualche volta da solo, qualche volta con altri cani, a chilometri di distanza. (…)
Ma il cane dal pelo lungo aveva una storia, un mistero. Lasciava gli altri cani e spariva nel nulla, poi si univa a quel che restava di loro settimane dopo. Secondo Sam tornava, ogni volta, in un luogo che ricordava, una casa o una fattoria abbandonata, e lì aspettava che qualcuno tornasse. O forse tornava nel posto dove l’avevano abbandonato, per aspettare che il suo padrone facesse la sua ricomparsa. “Si vede che cerca qualcuno” diceva Sam. Forse significa leggere troppo in un cane, tanto più in uno come quello. Nessuno che conoscevamo aveva mai individuato la persona che lo aveva abbandonato. Era il crimine perfetto; il padrone si era allontanato in macchina, portando con sé tutto quello che il cane aveva mai conosciuto. Perché tornasse sempre così vicino alla baita, da noi, era un mistero ancora più fitto. Non era di qui; lo avremmo saputo se qualcuno avesse perso il cane. Avrebbe potuto sconfinare dove voleva e invece finiva sempre qui, come se fosse intrappolato dentro l’ennesimo circolo vizioso.
Rick Bragg (1959) è un giornalista americano che nel 1996 ha vinto il premio Pulitzer per i reportage pubblicati con il “New York Times”. Nel corso della sua carriera, i suoi pezzi hanno ricevuto più di cinquanta premi. Ha scritto undici libri, quasi tutti bestseller di grandissimo successo negli Stati Uniti. Insegna scrittura creativa all’università dell’Alabama, dove vive.