DIARIO DI UN APICOLTORE

Immaginate un superorganismo, formato da una madre e cinquantamila fra figlie e figli. Risponde a logiche lontanissime da quelle umane, è fragile ma non ha bisogno di noi. Siamo noi invece ad avere bisogno delle api: per il cibo, per la bellezza della natura, per la nostra stessa sopravvivenza.  

L’apicoltura è una forma di allevamento strana e totalizzante. Non si può “possedere” una famiglia di api, e per comprenderne le esigenze bisogna imparare a leggere i dettagli. Così, l’apicoltore allena uno sguardo nuovo, giorno dopo giorno. Un’attenzione e una cura che mettono in discussione la nostra visione antropocentrica, e che nel racconto che ne fa per noi Diego Pagani appassionano anche chi apicoltore non è. 

 

Diego Pagani - Aboca

A volte penso a come è cambiata nel corso del tempo la percezione di tutto quello che mi circonda, è una cosa talmente strana quando mi fermo e me ne rendo conto.

Questo “straniamento dello sguardo” cambia progressivamente ma inesorabilmente il modo con cui osservo ogni cosa, anche la più insignificante ed è un processo irreversibile, una volta che ti è entrato dentro non se ne andrà, dovrai conviverci e continuerà a condizionarti, ancora e ancora. Con questo non mi riferisco solo al modo di guardare il mondo ma anche a come lo percepisco, è quasi una sensazione tattile, come se quello che mi circonda aderisse al mio corpo, e mi si appoggiasse addosso, sulla faccia, le mani, la schiena, le gambe.

Lo sguardo soprattutto, come si guarda il cielo, il ghiaccio che si forma in una pozzanghera, un albero, la forma di una collina, una strada. Come è stata costruita e orientata una casa, e come si differenziano in base al clima del luogo, la forma del tetto e se si sviluppano in orizzontale o in verticale. Sono cose che ci raccontano tanto di come siamo, della nostra storia. Questa deformazione impone un approccio quasi investigativo che mi porta a prestare attenzione ad ogni particolare.

Tutto questo è cominciato con l’inizio del mio lavoro con le api, ma perché succede?

L’apicoltore lavora allevando degli insetti e questa è una delle forme di allevamento più strane che si possano immaginare. Proviamo a pensare di dover intervenire per favorire o semplicemente sincerarci del benessere di una famiglia di api, un superorganismo composto da una madre e cinquantamila tra figlie e figli. Riuscire a comprenderne lo stato di salute piuttosto che di stress, le necessità, la difficoltà o tranquillità di questi esseri così diversi da noi. Ci si immerge in questo concerto di caste, ognuna con un ruolo e una funzione estremamente precisi che risponde a logiche lontanissime dalle dinamiche sociali degli esseri umani, è un’esperienza unica, totalizzante e ipnotica con una peculiarità data dalla frustrazione dell’uomo. Noi siamo gli intrusi, indesiderati elementi di disturbo, la famiglia di api che alleviamo non ha comprensione di questo goffo individuo “vestito strano” che ne rivendica la proprietà. È in effetti un assurdo, sarebbe come rivendicare la proprietà della luna o delle nuvole. Riuscire a far sì che ci tollerino, questa sarebbe già una grande conquista.

Interagire con questo sistema è estremamente complesso, è necessaria una conoscenza profonda dell’insetto e dell’ambiente in cui si opera; una volta un conoscente folgorato come tanti sulla via di Damasco mi ha chiesto quanto tempo avrebbe richiesto diventare apicoltore. Ci ho pensato un po’ e poi gli ho spiegato che seguendo un corso presso un’associazione e lavorando a contatto con un professionista nel giro di tre anni avrebbe potuto iniziare ad allevare le api, per diventare un apicoltore ne avrebbe impiegati dieci. Per comprendere a fondo un alveare non gli sarebbe bastata la sua vita.  

La quantità delle variabili interne ed esterne all’alveare e la loro interpretazione rendono difficoltoso il processo decisionale che presuppone gli interventi da parte dell’allevatore. A questo si aggiunge il re di tutti gli handicap, la non scardinabile visione antropocentrica dell’apicoltore che tende a ricondurre ogni variabile a una logica che il più delle volte risulta incompatibile con la vita di quel microcosmo che è la famiglia di api.

Dal cercare di colmare questa differenza morfologica, evolutiva, di specie, dal desiderio di essere realmente utili a degli esseri viventi così fragili senza sapere di esserlo, da tutte queste ed altre migliaia di ragioni deriva quell’attenzione ai particolari che verrà poi estesa a tutto quello che abbiamo intorno.

Gli apicoltori, almeno quelli che ho conosciuto io viaggiando in quattro continenti, si distinguono dalla maggior parte delle persone principalmente per un particolare che deriva direttamente dall’unicità del loro lavoro: un apicoltore si chiede sempre la ragione di ogni cosa, anche la più piccola e apparentemente banale ed approfondisce per comprenderla.

Le api non ci parlano, non si lamentano, non ci cercano e non cercano attenzioni o aiuto da parte nostra. Dobbiamo essere molto attenti a leggere i particolari, i dettagli. Ad incrociare informazioni derivanti dalla lettura di differenti variabili: il tempo, l’ambiente, i fiori, lo stato delle famiglie, eccetera.

Dovremmo avere un grande senso di gratitudine nei loro confronti. La maggior parte del nostro cibo e il fatto che questo sgangherato pianeta sia ancora un luogo ospitale per noi, derivano dal loro lavoro prima che dal nostro. E poi, anche la bellezza, quella data dai colori e i profumi sarebbe stata inutile senza di loro: la natura conserva solo ciò che ha una reale utilità per l’ecosistema.

Io personalmente in quanto apicoltore ma prima ancora come uomo, quindi appartenente alla specie più degradata del regno animale, sarò per sempre grato per questo sguardo sul mondo, donato dal più piccolo degli animali allevati, uno dei tanti, tantissimi regali che ci fa ogni giorno.

Nel frattempo continuo incessantemente ad andare in apiario, ad osservare, a studiare le api per diventare un apicoltore migliore, per essergli utile e per capirle meglio, ogni giorno di più. E alla fine, per diventare io stesso un’ape.

Piemontese, classe 1973, Diego Pagani è apicoltore di professione dal 1996. Ha circa 1000 arnie, nel Piacentino, con cui produce soprattutto miele. Dal 2008 al 2022 è Presidente del Consorzio Conapi (Consorzio apicoltori e agricoltori biologici italiani).

Tra le esperienze più forti e significative cita i percorsi di formazione, in collaborazione con Slow Food, per gli apicoltori in Etiopia, paese dove è stato tre volte tra il 2007 e il 2009. Dal 2011 fino al 2019 è stato componente dell’organizzazione Apimondia (Federazione Internazionale delle Associazioni di Apicoltori) ricoprendo il ruolo di presidente della Commissione Regionale europea.

Qui il suo primo articolo per Aboca Life Magazine.

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