CHE CALDO CHE FARÀ

di Robert Wilby

Modelli climatici e proiezioni dei meteorologi non raccontano quale sarà l’esperienza che noi umani vivremo a causa del cambiamento climatico. Se +4° vi sembran pochi, provate a ricordare come e dove avete sentito più caldo. E a immaginare come sarà la vita, fra qualche decennio, all’interno di case e uffici. 

Ogni anno un nuovo record climatico viene infranto. Il 2020 è stato su scala globale l’anno più caldo in assoluto, insieme al 2016. Un dato reso ancora più rilevante dal fatto che dalla seconda metà dell’anno l’Oceano Pacifico registrava basse temperature (è il fenomeno conosciuto come La Niña). Sempre nel 2020, la temperatura media della superficie terrestre è stata di 1,25°C superiore alla media del periodo 1850-1900: un dato isolato, forse, ma inserito in un inarrestabile aumento provocato in gran parte dai gas serra causati da attività umane.
Contenere entro 1,5°C l’aumento medio della temperatura del pianeta aiuterebbe ad evitare alcuni degli effetti più dannosi del cambiamento climatico. Sarà uno degli obiettivi in discussione alla COP26, il mese prossimo a Glasgow. Che cresca di 1,5°C o di 4°C, l’aumento di temperatura non sarà uguale per tutti. Alcune recenti ricerche sui modelli climatici hanno dimostrato che l’Artico, il Brasile centrale, gli Stati Uniti e il bacino del Mediterraneo potrebbero subire un innalzamento delle temperature ben maggiore della media globale.
Tutto ciò cosa può significare concretamente per voi nei prossimi anni e decenni? Le statistiche sulla “temperature medie mondiali” e sui cosiddetti “punti caldi” sono concetti astratti, utili per chi prende le decisioni ma non percepibili da chiunque. In più, nei modelli climatici le proiezioni delle temperature future riguardano zone agricole o naturali, con medie ricavate su decine o centinaia di chilometri quadrati.
Queste proiezioni non raccontano come sarà la vita nelle strade delle città, negli uffici e nelle piazze, all’interno delle nostre case. Eppure sono proprio questi i luoghi dove si giocheranno salute, confort e produttività durante le ondate di calore provocate dal cambiamento climatico.

SENTIRE CALDO, SENTIRE IL CALDO
Per ridurre il divario fra modelli climatici e mondo reale, ricorrete al ricordo personale di momenti di caldo estremo che avete vissuto direttamente. Fermatevi a pensare alle temperature più roventi mai sopportate, all’esterno e all’ombra. Per me, sono stati i 43°C in un sobborgo di Melbourne, in Australia. Sembrava caldissimo, ma lo era molto meno della temperatura più alta mai registrata in maniera affidabile: i 54,4°C nel Death Valley National Park in California, il 16 agosto 2020.
E al chiuso? Senza considerare le saune, per me il record è stato dentro una casa di Accra, nel Ghana. La stanza aveva pareti in legno, tetto in metallo, e niente aria condizionata. C’erano 38°C, meno che a Melbourne, ma senza ventilazione e con quell’umidità il caldo era veramente insopportabile.
In Gran Bretagna, la temperatura esterna più alta mai registrata è di 38,7°C, il 25 luglio 2019 al giardino botanico dell’università di Cambridge. Il servizio meteorologico inglese prevede che temperature superiori di 4°C rispetto all’epoca pre-industriale verranno raggiunte intorno al 2060. Previsioni climatiche relative ad aree più piccole suggeriscono che con +4°C a livello globale, a Cambridge le temperature potranno raggiungere i 43°C. Se ricordo le sensazioni provate in quella periferia australiana, posso immaginare come potrebbe essere Cambridge fra quarant’anni, nel giorno più caldo di un’estate degli anni Sessanta.
Questa previsione, però, è fatta combinando modelli climatici e temperature medie ricavate dalle stazioni meteo, che sono in genere collocate in aree verdi e lontane da fonti artificiali di calore. Le superfici d’asfalto e i centri cittadini ad alta densità abitativa sono più caldi di qualche grado e hanno andamento diverso rispetto alle centraline meteo situate in campagna.
Anche quando i modelli climatici includono nelle simulazioni le temperature in città, le proiezioni possono essere viziate da altre semplificazioni. È possibile che per produrre medie mensili livellino i picchi delle singole giornate. Che considerino l’estensione urbana in un momento dato, ignorando eventuali politiche contro l’innalzamento delle temperature (più verde, tetti riflettenti). E le complesse variazioni di calore fra una strada e l’altra non sono ancora state risolte. Probabilmente, quindi, anche i modelli più avanzati sottostimano la gravità reale del riscaldamento nelle aree urbane.

PORTARE AL CHIUSO LA SCIENZA DEL CLIMA 
In più, passiamo la maggior parte del nostro tempo al chiuso. Se vogliamo tradurre il cambiamento climatico in esperienza umana, dobbiamo simularne le condizioni nelle nostre case, nei nostri uffici. Per ricostruire le temperature percepite, il caldo che effettivamente sentiamo, dobbiamo considerare altri fattori come umidità, ventilazione, irradiamento da superfici arroventate, abiti indossati, metabolismo dei coinquilini. 38°C possono essere pericolosi con il 30% di umidità e letali con l’80%, perché un’umidità elevata rende meno efficace la sudorazione, cioè il nostro meccanismo naturale di raffrescamento.
Come sarà quella stanza ad Accra con +4°C di riscaldamento globale? Le sensazioni all’interno rifletteranno quelle esterne, perché non c’è aria condizionata. Un miliardo di persone vive in condizioni simili. Se non si pone rimedio, le alte temperature al chiuso con alta umidità saranno intollerabili, o anche mortali, per milioni di umani.
In una ricerca abbiamo dimostrato che isolare il soffitto sotto a un tetto metallico permette di mantenere le condizioni attuali anche con +4°C esterni, innalzando però purtroppo le temperature notturne per l’effetto accumulo. Già adesso di notte ad Accra spesso non si scende sotto i 30°C, bisogna dunque valutare i pro e i contro e trovare soluzioni a basso costo adattate casa per casa.
Se niente verrà fatto, il numero delle case insopportabilmente calde non potrà che aumentare. Si prevede che nel 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane e gli abitanti dei Tropici saranno i più esposti a calura umida estrema. Incredibilmente, sappiamo pochissimo di queste linee di frontiera del cambiamento climatico, soprattutto nelle strade e nelle case abitate da poveri.
Non dimenticherò quella stanza ad Accra, soprattutto durante i negoziati per il clima a Glasgow.

Robert Wilby è Professor of Hydroclimatic Modelling alla Loughborough University. Qui la sua bio.

Questo articolo è apparso su The Conversation, che ringraziamo.

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