IL RICINO È L’ALBERO DELLE STORIE

È poco più di un arbusto, eppure racconta tante storie diverse. Cambiando ogni volta significato. 

Nel racconto biblico del profeta Giona, il ricino è la prova dell’esistenza di un Dio onnivedente. L’olio di ricino è stato lo strumento di tortura del fascismo ma, all’opposto, può diventare un inno alla vita quando aiuta le partorienti.

Affascinata da questa pianta modesta ma straordinaria, Elena Loewenthal ne racconta vicende e proprietà in un libro che è anche un viaggio attraverso le epoche. Un viaggio nel bene e nel male, a seconda della storia che viene raccontata.

Ecco come la scrittrice presenta il suo All’ombra del ricino ai lettori di Aboca Life Magazine.

 

Il mondo è una faccenda davvero complessa. Se non fosse così, tutto sarebbe molto meno interessante. E invece nulla è mai monotono, tutto ha sempre più di un risvolto.

Meglio così, meglio non avere la responsabilità di dover mettere un punto in fondo a quella frase che è il mondo. Meglio costellarlo di punti interrogativi, virgole, incisi più o meno lunghi. Non c’è nulla di assoluto, drastico, definitivo.

Prendete il ricino, ad esempio.
Un albero che non è neanche un albero: un arbusto spontaneo, a volte pigro a volte entusiasta della vita. Un albero modesto, che non è neanche un albero, e che pure ha una parte così importante in tante storiePiccole e grandi. Come quella del profeta Giona, profeta riluttante e disubbidiente, che fa e pensa tutto il contrario di quello che dovrebbe fare e pensare un profeta. Eppure lo è. E che sotto l’ombra modesta, anzi irrisoria, del ricino, trova la parola che cerca. 

Trova anche il silenzio di un Dio che smette di chiamarlo nel momento in cui capisce che Giona ha bisogna di questo: non della parola ma del suo silenzio. Eloquente più di ogni parola. Il ricino è quel silenzio, è la scoperta del posto giusto per Giona nel mondo.

Il ricino è una pianta ambigua, ambivalente, spiazzante. Non è un albero ma quasi. Porta la parola del cielo, ne disegna il silenzio. Produce un olio che è tossico ma anche vitale. Che fa bene e fa male, a seconda della storia che c’è

L’olio di ricino evoca un passato oscuro, temibile. Era strumento di tortura, e di morte. È tutta questione di dose, ma il ricino è capace di uccidere. Lo ha fatto, eccome. 

Eppure può essere anche strumento di vita, perché genera quelle contrazioni che sono necessarie per attraversare il canale del parto. Il viaggio più lungo e vertiginoso di sempre.

Insomma, come ogni altra cosa al mondo, il ricino non è un punto in fondo a una frase ma una parentesi sempre aperta, un miscuglio di bene e male, di provvidenza e dannazione, di vita e morte e tutto quanto c’è in mezzo.

Elena Loewenthal (Torino, 1960) lavora sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d’Israele. Scrive di saggistica e narrativa. Dal febbraio 2020 è la direttrice della Fondazione Circolo dei Lettori di Torino. Insegna presso lo IUSS di Pavia. 

Ha pubblicato: Attese (2004, finalista al premio Strega), Eva e le altre. Letture bibliche al femminile (2005), Conta le stelle, se puoi (Einaudi, 2008, premio Campiello-Selezione Giuria dei Letterati, premio Roma), Lo specchio coperto. Diario di un lutto (2015), Nessuno ritorna a Baghdad (2019), La carezza. Una storia perfetta (La nave di Teseo, 2020). Dal 2015 al 2017 è stata addetta culturale presso l’Ambasciata d’Italia in Israele. Collabora a La Stampa e a Tuttolibri.

All’ombra del ricino è il suo primo libro nella collana di Aboca Edizioni Il bosco degli scrittori.

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