OVIDIO, SIAMO TUTTI NATURA

Da dove proviene la nostra idea di natura? Come è cambiato il rapporto fra noi umani e gli animali, le piante, tutto il vivente?

Dopo Virgilio, l’antichista Nicola Gardini rilegge con noi le Metamorfosi di Ovidio. Umani e semidei sono trasformati in animali per punizione divina, perdendo ragione, parola, superiorità.

Nell’ultimo libro delle Metamorfosi, per bocca di Pitagora, emerge però un’idea di unità della vita: una vera e propria ecologia. Con tanto di elogio del vegetarianismo.

Nel pensiero antico l’uomo è dato per l’essere più alto dell’universo. La sua superiorità deriva dal possesso della ragione, che agli animali invece mancherebbe. Quest’idea compare anche nelle Metamorfosi di Ovidio, dove molti umani o anche divinità minori si trasformano in animale per la volontà punitiva di un grande nume (Giove, Apollo etc.). Diventare animale, infatti, è scendere nella scala della vita. Si perdono in una volta l’aspetto umano e la capacità di parola, la dote più distintamente umana, quella che crea il sapere e le società, come ricorda Cicerone.

Invano cercheremo nella zoosfera ovidiana premonizioni di darwinismo. A Ovidio, come a tutti gli antichi (compreso Aristotele, fondatore della zoologia), manca del tutto l’idea di evoluzione, dunque di filogenesi: gli animali non sono collegati tra loro, ma ognuno sta a sé. Pertanto mancano anche il concetto di genere o quello di specie e ripartizioni maggiori come regno o famiglia, che compaiono solo con Linneo. Nelle Metamorfosi gli animali non sono neppure ripartiti in gruppi. Ogni metamorfosi è assoluta, circostanziale, estemporanea. Non sta in un quadro di derivazioni verticali, di biforcazioni, ma in una sorta di diagramma orizzontale, di direzione a senso unico, dove l’animale proviene immediatamente dall’uomo, come il riflesso sullo specchio proviene immediatamente dalla faccia che sta di fronte allo specchio. E il passaggio da uomo ad animale è repentino e irreversibile: è una rapida, per quanto progressiva, trasposizione di un atteggiamento spirituale in un aspetto fisico equivalente. L’unica parentela ammessa tra uomo e animali, dunque, deriva da una presunta o presupponibile o subitamente rivelata analogia morale. Sei troppo brava a tessere: diventi ragno; sbraiti: diventi rana; sei feroce: diventi lupo…

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La prospettiva che ho descritto finora è superata nell’ultimo libro delle stesse Metamorfosi, dove per bocca di Pitagora agli animali è riconosciuta una dignità tutta speciale. Pitagora si pronuncia appassionatamente contro la loro uccisione per scopi alimentari e difende la pratica del vegetarianismo. Cacciarsi in corpo il corpo d’altri esseri, “vivere della morte altrui”, è vera e propria scelleratezza; è imitare la turpe boccaccia dei Ciclopi. Ancora ancora togliere di mezzo il maiale, che disseppellisce i semi, e il capro, che morsica le viti. Ma che colpa hanno le pecore, che ci danno latte e lana, e ci sono più utili da vive che da morte? Che colpa ha il bue, innocente, sincero com’è? L’uccisione del bue, che ci ha a lungo aiutato nel lavoro dei campi, è nefas, “delitto orrendo”.

 C’è nel discorso di Pitagora anche un altro argomento: la reincarnazione o metempsicosi. Nel corpo degli animali, infatti, potrebbero esser finite anime umane, perfino anime di parenti stretti, come i genitori e i fratelli. Come si fa, d’altronde, a scannare un vitellino che muggisce o un capretto che manda vagiti come un bambino o a mangiare un uccello che si è allevato? Chi arriva a tanto non ci metterà molto a spingersi fino al delitto. Si finisca una buona volta di predare gli animali, in qualunque maniera. Tutte le forme viventi appartengono allo stesso ciclo; questa si reincarna in quella; da questa, per effetto di decomposizione, può perfino nascere quella: l’ape dal bue, il calabrone dal cavallo, lo scorpione dalle chele del granchio etc.

    Ripeto: nessun darwinismo. Eppure, per bocca di Pitagora, alla fine, emerge un’idea di unità della vita, un’ecologia, che sta a noi riconoscere come tra i lasciti più significativi dell’antica riflessione sulla natura

 

Nicola Gardini (1965)  insegna Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford. Ha pubblicato saggi, alcune raccolte di poesia e traduzioni di classici come Ovidio, Marco Aurelio e Catullo. Tra i suoi libri: Così ti ricordi di me (Sironi 2003), Lo sconosciuto (Sironi 2007), Come è fatta una poesia? (Sironi 2007), I baroni. Come e perché sono fuggito dall’università italiana (Feltrinelli 2009), Rinascimento (Einaudi 2010), Per una biblioteca indispensabile. Cinquantadue classici della letteratura italiana (Einaudi 2011), Le parole perdute di Amelia Lynd (Feltrinelli 2014), La vita non vissuta (Feltrinelli 2015), Viva il latino. Storie e bellezze di una lingua inutile (Garzanti 2016), Con Ovidio. La felicità di leggere un classico (Garzanti 2017), Il tempo è mezza mela. Poesie per capire il mondo (Salani 2018), Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo (Garzanti 2018), Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana (Garzanti 2019) e Viva il greco (Garzanti 2021). Nicolas è uscito, sempre da Garzanti, nel maggio 2022. Il suo sito web è www.nicolagardini.com. 

 

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