QUANTA ENERGIA PER IL BENESSERE

Dopo il paradosso della fame, ecco il paradosso dell’energia. Il pianeta dell’abbondanza (raggiunta con il progresso agricolo) e della sovrappopolazione è fondato su acciaio, plastica, ammoniaca e cemento. Quattro pilastri del benessere, però grandemente energivori. Siamo tutti d’accordo che non si può andare avanti con i combustibili fossili, ma quali sono le alternative? Che fare?

Secondo articolo della serie intitolata Su che cosa non possiamo che dirci d’accordo, in cui lo scrittore e agronomo Antonio Pascale indica i grandi argomenti necessariamente condivisi anche da chi ha idee e posizioni diverse.

Sono state tre innovazioni a farci entrare di botto nel paese di Masterchef, chimica, meccanizzazione, genetica: anche qui stesso paradosso. 

La produzione di grano è rimasta invariata per secoli: da un ettaro di terreno si ricava una tonnellata di frumento. Questo rapporto è stato costante dall’epoca romana fino ai primi del Novecento. Poi grazie alla sintesi dell’azoto – i primi formulari sono stati messi in commercio intorno al 1913, ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che i concimi sintetici si sono diffusi – abbiamo nutrito la pianta e la produzione è cresciuta in maniera esponenziale: con un paniere di beni più esteso l’apparato immunitario si è rafforzato, poi antibiotici, vaccini, bagni piastrellati, fognature hanno fatto il resto.

Come diceva Leopardi nello Zibaldone un giardino sembra bello solo da lontano, se ti avvicini ti accorgi che c’è una guerra in corso, con morti e feriti, insomma, la natura è un ospedale. Verissimo, le piante coltivate senza la tenda ad ossigeno, ovvero le nostre cure, non potrebbero sopravvivere: ma le cure costano.

Quindi più abbondanza, più salute, meno mortalità infantile, significa più cura delle piante (protezione dai patogeni, irrigazione, semi ad alta germinabilità e genetica per migliorare alcune qualità delle piante che ci tornavano utili) e più costi. 

Del resto, senza la tenda coltivata ci tocca cacciare e raccogliere i frutti della natura, ma così possiamo sfamare 10 milioni di persone, il che non sarebbe male, ma nessuno, porca miseria, si candida a morire: sempre lo stesso paradosso. Oppure con una agricoltura ferma ai ritmi del Novecento avremmo una popolazione di due miliardi, dei quali però, tantissimi dovrebbero (come mio nonno) spalare letame, una pratica non molto istagrammabile. 

Dunque, riepilogando, più cibo, meno bambini morti, uguale aumento della popolazione, più bocche da sfamare: sono nato nel 1966 e c’erano a stento 3,4 miliardi di persone. Nel 1974, prima vacanza a Rimini, 4 miliardi, nel 1987, seconda vacanza a Cambridge, 5 miliardi, nel 1999 non ho fatto niente, ma ecco altro miliardo, nel 2010 ho scritto articolo sul Messaggero per dare il benvenuto alla bambina del Bangladesh che portava la cifra a 7 miliardi. 

Ora siamo 8 miliardi: il mondo di Masterchef insomma è fondato su quattro pilastri (dice Vaclav Smil): acciaio, plastica, ammoniaca e cemento, quattro pilastri energivori, un altoforno non l’accendi con i pannelli solari e anche l’ammoniaca dipende dai combustibili fossili: bel problema insomma. Masterchef è un paese costruito grazie al carbone ma non si può andare avanti col carbone, siamo d’accordo! Ma che facciamo?

(2/4 – continua)

Antonio Pascale, classe 1966, nato a Napoli, vissuto a Caserta e poi dal 1989 a Roma, dove lavora. Scrittore, saggista, autore televisivo, ispettore al Masaf, direttore di Agrifoglio. Ha scritto molti libri, dei quali ricordiamo solo Scienza e sentimento e (sempre da Einaudi) l’ultimo, la Foglia di Fico, finalista premio Campiello e Scienza e Sentimento. Si occupa di divulgazione scientifica, scrive per il Foglio, il Mattino, le Scienze e Mind.

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