Grazie a frigorifero e aria condizionata, possiamo produrre in casa tutto il freddo e tutto il ghiaccio che vogliamo. Con un paradosso: per farlo, contribuiamo a rendere la Terra un pianeta torrido.
È il capitolo attuale, e tutto da riscrivere, di una storia lunga millenni. Dagli assiri alle corti rinascimentali, dall’antica Roma alla Cina imperiale, fino ai mixologist e ai campi da sci di oggi, l’umanità accaldata ha trovato il modo di conservare, trasportare e infine produrre il ghiaccio.
In un libro appassionante, Alberto Grandi racconta questa epopea. Che è anche la storia della nostra insaziabile ricerca di benessere.
Era il 12 maggio 1833, quando il brigantino Tuscany, con a bordo 180 tonnellate di ghiaccio, salpò dal porto di Boston con destinazione Calcutta. Quasi tutti erano convinti che alla fine del viaggio sarebbe rimasto solo qualche misero cubetto: insomma sembrava di assistere all’inizio della preparazione del mojito più costoso della storia… E invece ebbe ragione il pazzo visionario che aveva organizzato quell’incredibile viaggio, Frederic Tudor, quello che a Boston sarebbe ben presto diventato famoso come The Ice King; a Calcutta, dopo quattro mesi di navigazione attraversando i tropici e l’equatore in piena estate, arrivarono ben 120 tonnellate di ghiaccio. La perdita di un terzo del carico non era certo poca cosa e quell’incredibile crociera, dal punto di vista strettamente economico, si rivelò un discreto fiasco, ma di questo Tudor era ben consapevole. Lo scopo del viaggio non era quello di generare un profitto immediato, ma piuttosto quello di dimostrare l’efficienza del sistema logistico che Tudor stesso stava realizzando e che gli avrebbe ben presto permesso di trasportare in qualunque parte del mondo il ghiaccio estratto d’inverno dai laghi del New England. In effetti, da quel momento la Tudors’s Inc. e le molte altre più piccole società della zona di Boston che iniziarono a dedicarsi a questa nuova attività costruirono una rete commerciale mondiale che in pratica anticipò di qualche decennio la prima globalizzazione degli anni sessanta-settanta dell’Ottocento. Nel 1840, Tudor aveva proprie banchine dedicate al trasbordo di ghiaccio e proprie ice houses per lo stoccaggio e la conservazione nei porti di Charleston, Savannah, L’Avana, Rio de Janeiro, Madras, Calcutta, San Francisco, New Orleans e le sue navi ogni settimana sbarcavano a Londra circa 150 tonnellate di ghiaccio, che era ormai diventato un lusso irrinunciabile per la nuova borghesia industriale inglese. La straordinaria espansione economica della zona di Boston e lo sviluppo del suo porto nella prima metà del XIX secolo si devono in buona misura a questo commercio: l’oro trasparente, come lo chiamavano gli stessi operatori del settore.
Ma questa crescita spettacolare e questa rete mondiale erano solo l’ultima estrema manifestazione di un’attività iniziata molti secoli prima, anzi, addirittura millenni prima, a voler dar retta ad alcune tavolette cuneiformi trovate in Mesopotamia, risalenti al II millennio a.C. Certo, per lungo tempo i sistemi di coibentazione e l’efficienza dei trasporti impedirono lo sviluppo di reti commerciali molto articolate, ma la domanda di ghiaccio e di neve fu sempre potenzialmente molto alta e quando migliorarono i trasporti fu possibile portare grandi quantità di questi preziosi beni di consumo in qualunque città del mondo, anche nelle estati più torride, con la certezza che in pochissimo tempo tutto il prodotto sarebbe stato venduto, generando enormi profitti. È stata un’epopea mondiale che in pratica tocca tutte le aree e tutte le grandi civiltà: dagli assiri, agli egizi, dalla Roma di Nerone alla Cina imperiale, fino a coinvolgere le raffinate corti dell’Italia rinascimentale, per poi proseguire nella Versailles del Re Sole e arrivare alle soglie dell’industrializzazione, quando il ghiaccio iniziò a essere prodotto artificialmente in rumorosissime e caldissime fabbriche diffuse in modo capillare in ogni angolo del mondo. Ma anche questo capitolo era destinato a chiudersi. Con l’invenzione del frigorifero domestico e poi dell’aria condizionata, chiunque poteva prodursi in casa tutto il freddo e tutto il ghiaccio necessari. A quel punto la produzione industriale di ghiaccio o la semplice raccolta della neve perdevano qualunque valore economico. Oggi il ghiaccio e la neve si producono solo per soddisfare bisogni superflui, come la realizzazione di cocktail o per preparare piste da sci. Negli ultimi tempi sono comparsi addirittura alberghi di ghiaccio e concorsi per sculture realizzate con lo stesso materiale. Il paradosso è che per avere a disposizione tutto ciò, per avere le nostre case sempre fresche e i nostri frigoriferi sempre più grandi, stiamo contribuendo a rendere la Terra un pianeta torrido: per avere la neve artificiale, ci stiamo privando del piacere di toccare e di contemplare la neve naturale. La soluzione, però, non può essere il ritorno a quel passato che, come vedremo, provocava tanti disagi e soprattutto molti sprechi alimentari; tornare indietro non è mai una buona soluzione. No, quello che dobbiamo fare è spingere più avanti la ricerca per avere tutto il freddo necessario con il minor consumo di energia possibile, in modo che tutto il cibo prodotto possa essere conservato e trasportato senza perderne nemmeno un grammo, ma al tempo stesso che il pianeta Terra nel suo complesso non si ribelli definitivamente alla nostra insaziabile ricerca di benessere.
Alberto Grandi (Mantova, 1967) è professore associato all’Università di Parma dove insegna Storia delle imprese e Storia dell’integrazione europea. È stato inoltre docente di Storia economica e Storia dell’alimentazione. È autore di una quarantina di saggi e monografie pubblicati in Italia e all’estero.
Per Mondadori, nel 2018, è uscito Denominazione di origine inventata. Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani che ora è diventato un podcast di grandissimo successo.