SIAMO TUTTI D’ACCORDO?

Su che cosa non possiamo che essere tutti d’accordo? Domanda cruciale per cercare una soluzione ai problemi del pianeta, spaventosamente energivoro perché sovrappopolato. E sovrappopolato per i progressi di agricoltura, alimentazione, igiene.

 

È partendo dalla ricerca di un terreno condiviso che – paradosso dopo paradosso -, lo scrittore e agronomo Antonio Pascale analizza per Aboca Life Magazine la complessità del presente. Per costruire, insieme, un futuro davvero sostenibile. 

DALLA FAME A MASTERCHEF

Vista la situazione planetaria, su cosa possiamo, dovremmo essere d’accordo? Concorderei subito su un punto: stiamo messi molto male. Concorderei anche su un altro punto: il pianeta ha problemi nuovi perché abbiamo fatto del nostro meglio per risolvere gli atavici problemi che per millenni ci hanno angosciato. Dunque, se questo mondo ora rischia di cadere in un incubo è solo perché abbiamo dato forza ai nostri sogni migliori: un paradosso.

Per affrontare il paradosso, prendiamo come strumento di indagine il grano. La prima varietà che abbiamo domesticato (con data simbolica fissata intorno a 10mila anni fa, anche se all’epoca si trattava di farro) divide il mondo in due paesi: il paese di Pinocchio e il paese di Masterchef. Pinocchio è il grande racconto della fame, Masterchef è il grande racconto dell’abbondanza. Pinocchio è durato 10 mila anni, Masterchef è tra noi da una settantina d’anni.

Come stabiliamo questa durata? Prendendo un indicatore della qualità della vita, il migliore di tutti, la mortalità infantile, altro che PIL. Quando abbiamo cominciato a domesticare il grano la mortalità infantile era molto alta, variava da uno su tre a uno su cinque. Di conseguenza la vita media era intorno ai 35 anni (tanti bambini morivano e dunque si abbassava la media). Se facciamo un salto al 1900, in alcuni quartieri del napoletano, in alcune zone malariche costiere, nelle terre della pellagra, nelle Langhe e nel Roero, la mortalità infantile era ancora altissima e la vita media ancora intorno ai 35 anni. Ora la mortalità infantile tende a zero – certo è alta in una dozzina di paesi africani molto poveri ma sta scendendo anche là –  e la vita media, in Italia o in Giappone o in Svezia, è stabile intorno agli 83 anni (poi bisogna capire se stiamo aggiungendo vita agli anni o anni alla vita, forse la seconda, ma ci si può lavorare).

Come abbiamo fatto a cambiare questo parametro? E quando è successo? È successo tutto a partire dagli anni Cinquanta, sostanzialmente perché abbiamo mangiato meglio, in più sono arrivati gli antibiotici e i vaccini, i bagni piastrellati, le fognature. Di conseguenza siamo passati dalla fame all’abbondanza, i bambini non sono più morti, sono diventati sessantenni come me, e altri hanno contribuito a formare questa gigantesca cifra, otto miliardi (si va verso i dieci). Da un sogno, un mondo senza fame, malattie, morte prematura dei bambini, siamo passati a un incubo, un mondo spaventosamente energivoro perché densamente popolato.

QUANTA ENERGIA PER IL BENESSERE 

Sono state tre innovazioni a farci entrare di botto nel paese di Masterchef, chimica, meccanizzazione, genetica: anche qui stesso paradosso.

La produzione di grano è rimasta invariata per secoli: da un ettaro di terreno si ricava una tonnellata di frumento. Questo rapporto è stato costante dall’epoca romana fino ai primi del Novecento. Poi grazie alla sintesi dell’azoto – i primi formulari sono stati messi in commercio intorno al 1913, ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che i concimi sintetici si sono diffusi – abbiamo nutrito la pianta e la produzione è cresciuta in maniera esponenziale: con un paniere di beni più esteso l’apparato immunitario si è rafforzato, poi antibiotici, vaccini, bagni piastrellati, fognature hanno fatto il resto.

Come diceva Leopardi nello Zibaldone un giardino sembra bello solo da lontano, se ti avvicini ti accorgi che c’è una guerra in corso, con morti e feriti, insomma, la natura è un ospedale. Verissimo, le piante coltivate senza la tenda ad ossigeno, ovvero le nostre cure, non potrebbero sopravvivere: ma le cure costano.

Quindi più abbondanza, più salute, meno mortalità infantile, significa più cura delle piante (protezione dai patogeni, irrigazione, semi ad alta germinabilità e genetica per migliorare alcune qualità delle piante che ci tornavano utili) e più costi.

Del resto, senza la tenda coltivata ci tocca cacciare e raccogliere i frutti della natura, ma così possiamo sfamare 10 milioni di persone, il che non sarebbe male, ma nessuno, porca miseria, si candida a morire: sempre lo stesso paradosso. Oppure con una agricoltura ferma ai ritmi del Novecento avremmo una popolazione di due miliardi, dei quali però, tantissimi dovrebbero (come mio nonno) spalare letame, una pratica non molto istagrammabile.

Dunque, riepilogando, più cibo, meno bambini morti, uguale aumento della popolazione, più bocche da sfamare: sono nato nel 1966 e c’erano a stento 3,4 miliardi di persone. Nel 1974, prima vacanza a Rimini, 4 miliardi, nel 1987, seconda vacanza a Cambridge, 5 miliardi, nel 1999 non ho fatto niente, ma ecco altro miliardo, nel 2010 ho scritto articolo sul Messaggero per dare il benvenuto alla bambina del Bangladesh che portava la cifra a 7 miliardi.

Ora siamo 8 miliardi: il mondo di Masterchef insomma è fondato su quattro pilastri (dice Vaclav Smil): acciaio, plastica, ammoniaca e cemento, quattro pilastri energivori, un altoforno non l’accendi con i pannelli solari e anche l’ammoniaca dipende dai combustibili fossili: bel problema insomma. Masterchef è un paese costruito grazie al carbone ma non si può andare avanti col carbone, siamo d’accordo! Ma che facciamo?

PIÙ AZOTO PER TUTTI

Il mondo di Pinocchio aveva meno problemi di contaminanti ma era inquinato dalle guerre: è esperienza comune che per i primi tempi la produzione su un terreno nuovo aumenta, poi dopo qualche anno le piante assorbono elementi nutritivi e la fertilità cala. Sono di grande aiuto colture intercalari, e il letame, ma c’è bisogno di parecchie tonnellate a ettaro per garantire un buon apporto d’azoto. Sembra facile, invece è molto complicato. D’altronde come diceva Giacomino nostro la natura è un ospedale, perché (Leopardi non lo sapeva ma di certo il suo sguardo era tagliente) la natura, per i principi dell’evoluzione darwiniana, non ha uno scopo, tantomeno si è auto assemblata per far vivere a noi una bella vita.

Osserviamo proprio il paradosso dell’azoto. L’elemento è necessario in quantità così grandi perché si trova nella clorofilla la cui stimolazione alimenta il processo fotosintetico – pensate che ci sono giornate dedicate a tutte le cose di questo mondo, tranne al cloroplasto, se Dio esiste certamente si è incarnato (anche) in un cloroplasto, senza di lui, senza il cloroplasto, dico, niente fotosintesi, niente piante, niente pranzi, niente grandi chef, né ossigeno né amidi. L’azoto è anche negli acidi nucleici del DNA e del RNA e negli amminoacidi. E per paradosso, appunto, è un elemento molto abbondante in natura, costituisce quasi l’80% dell’atmosfera ma non è sintetizzabile facilmente dalle piante.

Purtroppo è presente nell’atmosfera in forma di molecola non attiva (N2) e sono pochi processi naturali capaci di rompere il legame tra i due atomi di azoto e rendere questo elemento disponibile per le piante. Per esempio, i fulmini riducono l’azoto in ossidi di azoto che si sciolgono nella pioggia e formano i nitrati che fertilizzano poi le foreste i campi e le praterie dall’alto.

Ma ovviamente questo apporto naturale è troppo modesto per produrre raccolti capaci di sfamare gli 8 miliardi di persone del pianeta, tutti tra l’altro così ansiosi di vivere al meglio, di seguire i propri sogni, mettere su aziende virtuali o diventare influencer e viaggiare gratis: capite perché nel paese di Pinocchio si dovevano conquistare nuove terre e metterle a coltura, con tutto quello che le guerre comportavano, compreso il conio di molti assurdi slogan del tipo “Dio è con noi”.

Che fare con l’azoto? A parte che troppo fa male, la sintesi dell’ammoniaca, così come la produzione degli altri tre pilastri (acciaio, cemento e plastica) consuma energia. Siamo d’accordo che bisogna fare qualcosa, e non solo per l’azoto. Ma cosa?

CONCIMIAMO IL FUTURO

Nel paese di Pinocchio, l’azoto è stato il fattore limitante, in quello di Masterchef è stato il fattore determinante. Tuttavia, il processo della sintesi dell’ammonica impiega molta energia, e per di più, l’azoto tende a lisciviare, cioè può finire (e infatti finisce) nelle falde. Che dire, è un sogno: mangiamo, costruiamo una civiltà. Però inquiniamo e questo è un incubo. Nel paese di Pinocchio l’unico modo di avere azoto consisteva nel raccogliere le deiezioni umane o animali. Ma si tratta di un metodo inefficiente. Gli escrementi hanno un contenuto di azoto molto basso, perché se i bovini non mangiano piante ricche di azoto non restituiscono azoto. E per di più, il letame è soggetto a perdite per evaporazione (cioè, la conversione dei liquidi in gas: l’odore di ammoniaca emesso dal letame può essere soffocante). Poi vero, dal letame nascono i fiori ma quanto letame ci vuole?

Nel paese di Pinocchio, con meno di un miliardo di persone, il concime andava raccolto nei villaggi e fatto fermentare in cumuli e sparso sui campi, in quantità enormi, in genere 10 tonnellate con picchi di 30 tonnellate (contro i 120/150 quintali di azoto/ha distribuito con i concimi sintetici). Un’operazione che richiedeva almeno un quinto, e a volte persino un terzo, del lavoro totale. Oggi, preparare simili quantità di letame per otto miliardi di persone sarebbe difficile– a parte che l’azoto presente nel letame potrebbe lo stesso inquinare le falde.

Tuttavia, il lavoro che i fulmini riescono a fare, è compiuto anche da un enzima che viene prodotto dai batteri presenti sulle radici di alcune leguminose: soia, fagioli comuni piselli, lenticchie e arachidi fanno tutto da sole. Purtroppo le colture più diffuse: mais, riso, cereali, tuberi, oli da girasole, non hanno questa associazione. Certo, sono di grande aiuto le rotazioni, e infatti sono largamente diffuse e consigliate da tutti gli agronomi, ma appunto si pone un problema: quanti ettari di terreno vanno usati per ospitare queste colture, e per quanto tempo?

Una soluzione? Cercare di modificare i batteri affinché riescano ad associarsi anche ad altre colture. Sarebbe un risparmio enorme non usare più ammoniaca. Attualmente molti progetti sono in fase di studio (in Italia il team di Roberto Defez del CNR di Napoli è all’avanguardia). Come risolviamo il paradosso? Possiamo tornare indietro? Si che potremmo, ma è meglio sapere come e cosa dovremmo fare: la maggior parte noi dovrebbe abbondonare le città e stabilirsi nei villaggi. Si dovrebbe smantellare l’alimentazione centralizzata del bestiame e riportarli nelle fattorie, affinché siano usati come forza lavoro e fonti di concimi.

Ogni giorno dovremo dare da mangiare da bere al bestiame a rimuovere le sue deiezioni, farle fermentare, quindi cospargerle come concime sui campi, e badare alle mandie e alle greggi al pascolo. Le donne spargerebbero i semi e monderebbero le malerbe e tutti darebbero contributi nelle fasi di raccolta e macellazione ammassando i fasci di grano, cavando le patate, aiutando a trasformare in cibo il maiale appena macellato. Nemmeno nei più sogni migliori o nei miei peggiori incubi, riesco a immaginare che diventiamo, almeno nel breve futuro, tutti Amish e per produrre poi cibo sufficiente a sostenere meno della metà della popolazione globale odierna.

Consiglierei solo di non perdere mai la voglia di sperimentare forme diverse, più tecnologiche, serie ed efficienti per risparmiare risorse (dunque, con sana epistemologia, provare, e misurare), avendo ben presente che ogni volta che spianiamo una strada migliore, roviniamo qualcosa nelle vicinanze (il problema è come fare meno danni e calcolare il rischio): tutto questo finché verrà la morte, avrà i nostri occhi e scioglierà il
paradosso.

Antonio Pascale, classe 1966, nato a Napoli, vissuto a Caserta e poi dal 1989 a Roma, dove lavora. Scrittore, saggista, autore televisivo, ispettore al Masaf, direttore di Agrifoglio. Ha scritto molti libri, dei quali ricordiamo solo Scienza e sentimento e (sempre da Einaudi) l’ultimo, la Foglia di Fico, finalista premio Campiello e Scienza e Sentimento. Si occupa di divulgazione scientifica, scrive per il Foglio, il Mattino, le Scienze e Mind.

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