La guerra è un matricidio. Uccide la madre di tutti noi: la Terra. E uccide il tempo necessario a crescere, a coltivare. Persone, animali, alberi, la guerra distrugge tutto e dal lessico bellico derivano espressioni atroci come “fare terra bruciata”.
In un suo recente monologo a Che Tempo Che Fa, Michele Serra ha invitato a diventare tutti “terristi”. Ne pubblichiamo il testo, continuando così – dopo gli articoli di Gavin Harper e di Stefano Bartolini – ad esplorare gli effetti della guerra sulla nostra casa comune, il pianeta Terra.
Chissà che cosa pensano di noi le capre. Se lo chiese Italo Calvino in un articolo del 1946, dopo l’esperimento atomico degli americani nell’atollo di Bikini, in mezzo al Pacifico.
L’atollo era stato svuotato dei suoi pochi abitanti – povera gente – ma nessuno aveva pensato che valesse la pena portare via anche qualche decina di capre. L’esplosione le cancellò, insieme a tutto il resto.
Quando una bomba cade lontano dalle case, gli uomini tirano un sospiro di sollievo. È comprensibile. Dentro le case ci abitiamo noi. Ma lontano dalle case non c’è il nulla. Ci sono i campi coltivati, i boschi, gli alberi, gli animali, i fiumi, i canali di irrigazione. Lontano dalle case c’è la terra. C’è il nostro cibo e l’acqua che beviamo. C’è il lavoro agricolo, che impiega anni per fare crescere quello che i cingoli schiacciano.
La vita è fatta di tempo. Un albero, per crescere, ci mette anni. La guerra, invece, il tempo lo distrugge. Ogni albero, ogni animale ucciso dalla guerra significa anni di vita bruciati. Dieci, venti, cento giri della Terra attorno al Sole azzerati in un attimo.
Un animale che muore in guerra non ha nemmeno la magra consolazione di sentirsi martire di una giusta causa. Non ne sa niente e niente vuole saperne, un gatto o una pecora, delle nostre beghe. Sotto le bombe un animale muore e basta, nessuna ragione giusta, nessuna ragione sbagliata. Semplicemente: nessuna ragione.
Non sono animalista, anche se mi piacciono molto gli animali. Così come non mi sento alberista se difendo un albero, o umanista se difendo la vita umana. Penso che bisognerebbe riuscire a diventare terristi. Dentro la Terra c’è tutto: piante, bestie, uomini. La Terra è una casa comune. E dunque anche il bombardamento di un bosco, o di un campo coltivato, o di un atollo sperduto nel Pacifico, è il bombardamento di una casa.
Le frasi “fare terra bruciata” e “avvelenare i pozzi” sono prese direttamente dalle pratiche di guerra. Fare terra bruciata per procurare la fame. Avvelenare i pozzi per procurare la sete. Non sono riuscito ad ammazzare te, dunque ammazzo la terra che ti nutre. Ammazzo tua madre, e pazienza se è anche la mia. La guerra è un matricidio.
Lo è in almeno due modi. Il primo, quello più evidente, è la distruzione in forma diretta. I missili che bruciano tutto, le sostanze chimiche che avvelenano l’aria e l’acqua, i defolianti, i crateri, le schifose mine che gli eserciti seminano ovunque.
Il secondo modo di uccidere la terra, meno immediato ma altrettanto devastante, è il consumo smisurato di energia. La guerra è l’attività umana più energivora: mangia energia in quantità esorbitanti. Divora combustibili fossili, i più inquinanti. Ma anche denaro, intelligenza, lavoro, tecnologia. E vite umane, ovviamente.
Il singolo maggiore consumatore di petrolio al mondo, dunque il singolo maggiore produttore di gas serra al mondo, è il Pentagono. L’America spende il 3,7 per cento del suo Pil in armamenti. 800 miliardi di dollari all’anno. La Russia spende parecchio di meno, ma in proporzione riesce a fare peggio degli Stati Uniti, perché investe in armamenti più del 4 per cento del suo Pil. Non è un paese ricco, a parte gli oligarchi. O forse, proprio a causa degli oligarchi. Per mantenere la loro chiostra di missili, molti governi affamano i loro popoli.
L’Europa, in proporzione alla sua potenza economica, non spende molto in armamenti, perché ha scelto di starsene comoda sotto l’ombrello degli Stati Uniti. Detto volgarmente: noi europei usiamo, per la difesa, soprattutto i soldi degli americani. E siccome niente è gratis, a causa di questa dipendenza militare siamo meno liberi di determinare il nostro destino politico.
Ma di tutti questi numeri importa poco, anzi nulla, al campo di grano bruciato, o al cane disperso tra le macerie. A loro vantaggio, va detto che quando dovessimo sparire per sempre, noi scimmie cingolate, le piante e le bestie sapranno come cavarsela. Quando l’ultima mina sarà esplosa, la volpe, già il giorno dopo, andrà ad abbeverarsi nel cratere.
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Michele Serra scrive da quasi trent’anni un commento quotidiano, prima su l’Unità e ora su la Repubblica (l’Amaca). Fra i suoi libri: Gli sdraiati (2014), Le cose che bruciano (2019), Osso, anche i cani sognano (2021). Con Aboca edizioni ha pubblicato Sull’acqua.
A Che Tempo Che Fa interviene con un monologo, ogni domenica.