Chi mangia bene vive bene. In Italia siamo avvantaggiati quanto a cultura alimentare: sappiamo che cibo è anche cultura e socialità, essenziali per il benessere.
È un vantaggio che si riflette nella salute e nella longevità degli italiani. Ma lo stiamo perdendo. Come in tutto l’Occidente, il cibo è sempre meno una fonte di felicità personale e sociale. Perché perde qualità e la sua produzione minaccia il nostro futuro.
Il problema alimentare contemporaneo genera malessere diffuso, epidemie di depressione, obesità, disturbi come anoressia e bulimia. Mentre la società ne è consapevole, la politica soffre di un grande ritardo culturale sulla “questione alimentare”. Che è questione di felicità.
Negli ultimi decenni la cultura scientifica ha prodotto una rivoluzione nella nostra concezione del cibo. L’idea dominante fino agli anni ’70-’80 del secolo scorso era semplice: il cibo è fondamentale per la nostra sopravvivenza e quello che conta è la sua quantità, cioè il suo contenuto calorico. Era sulla base di questa concezione e di un poderoso aumento della produttività in agricoltura e allevamento che secondo la vulgata dominante nei paesi occidentali il problema alimentare era stato risolto. Il messaggio era che c’erano abbastanza calorie per tutti ed era quello che contava.
Era vero che c’erano abbastanza calorie – e non era poco perché era praticamente la prima volta nella storia – ma non era vero che questo era tutto quello che contava. Infatti la visione di un problema alimentare ormai risolto, che in parte continua ad essere sostenuta ancora oggi, è di fatto completamente superata da una gran quantità di contributi scientifici provenienti da discipline molto diverse.
Le calorie contano ma adesso sappiamo che conta anche la qualità del cibo e il mondo sociale che gli ruota intorno. Ad esempio, la scienza dell’alimentazione ha abbandonato ormai da tempo la sua originaria concentrazione sulle calorie per analizzare il modo in cui vari aspetti qualitativi della alimentazione promuovono o meno la salute.
Inoltre è divenuto chiaro che il cibo è fondamentale anche per la nostra felicità oltre che per la nostra sopravvivenza. L’alimentazione è legata alla felicità in molti modi, il più diretto dei quali è che contribuisce a determinare i nostri stati d’animo. Infatti il cervello regola l’umore attraverso i neurotrasmettitori, come ad esempio la serotonina, quello più direttamente connesso alla felicità. Queste sostanze sono create da composti derivanti dal cibo e alcuni cibi sono migliori di altri nel fornire materia prima per la produzione di neurotrasmettitori.
Da questo punto di vista le diete si sono evolute in una direzione negativa nei paesi occidentali, cioè più cibo industriale, più zucchero e sale, meno fibra, verdura e acidi grassi omega-3. Alcuni ricercatori sostengono che questa evoluzione abbia contribuito addirittura all’epidemia di depressione alla quale stiamo attualmente assistendo.
Ma il legame tra cibo e felicità va ben oltre questo legame diretto. Perché il cibo è anche cultura e socialità. Si tratta di due fattori centrali nel determinare il benessere della gente, come mostrato dagli studi sulla felicità che si sono sviluppati nelle scienze sociali negli ultimi due decenni. Il cibo ha una forte carica simbolica che riguarda l’appartenenza, l’identità, il legame col territorio e con la comunità. Il cibo è anche convivialità, relazioni affettive e sociali. Questo è il motivo per cui parole come “cena”, “pranzo”, “cibo” sono tra quelle che la gente più associa a momenti felici. Felicità e buone abitudini alimentari sono strettamente associati. Infatti gli studi su bambini e studenti mostrano che un maggior stress è associato alla tendenza a saltare i pasti e ad alimentarsi di snacks e merendine.
È per questi motivi che la tesi che il problema alimentare sia stato risolto è divenuta insostenibile. È stato risolto il problema della quantità del cibo ma quello della qualità è peggiorato. In pratica il problema della quantità del cibo è stato risolto creando una alternativa tra quantità e qualità del cibo.
Questa alternativa è connessa alla invenzione della agricoltura intensiva, basata sul largo impiego di macchinari e di chimica in agricoltura. Questo tipo di agricoltura aumenta la produttività della terra a prezzo della diminuzione della qualità dei suoi frutti, sia nel senso nutritivo che del sapore. Un esempio estremo di questi problemi riguarda il vasto uso di pesticidi, alcuni dei quali al di sotto di ogni sospetto di essere cancerogeni.
Inoltre in agricoltura si è creato un gigantesco problema di sostenibilità. L’agricoltura ha smesso da molti decenni di essere un fattore di cura e manutenzione del territorio per diventare fonte di problemi ecologici come l’inquinamento chimico delle acque sotterranee e di superficie e la perdita progressiva di una fertilità accumulata in secoli di lavoro umano. Accanto naturalmente a un sensibile contributo al cambiamento climatico visto che l’agricoltura è divenuta forte consumatrice di combustibili fossili.
Oltre alla qualità, anche l’aspetto culturale e conviviale del cibo si è indebolito. Il progressivo sganciamento della popolazione dalla produzione di cibo ha eroso il carattere simbolico e identitario del cibo. Si è eroso anche il significato relazionale del cibo, come testimoniato dal crollo in tutto l’Occidente del numero di pasti consumati insieme dalle famiglie.
Insomma, il cibo è sempre meno una fonte di piaceri personali e sociali. In questo modo il problema alimentare contemporaneo fornisce un contributo a creare i problemi di malessere diffuso che gli studi sulla felicità hanno evidenziato. Il cibo non è semplicemente qualcosa che consumiamo per sostenerci ma contribuisce alla nostra felicità, purché questo cibo sia di qualità, la sua produzione non minacci il nostro futuro e lo si tratti con la cura e la consapevolezza che la sua importanza merita. Invece è proprio tutto questo che si sta perdendo.
La società italiana sembra avere una crescente consapevolezza della “questione alimentare”, testimoniata dalla vivacità dell’associazionismo in materia e dal successo di iniziative commerciali che hanno la qualità alimentare al centro del proprio progetto. In Italia è nato un movimento internazionale come Slow Food. Questo attivismo sta in parte contrastando la enorme pressione sociale che esiste per educare a mangiare male, rappresentata dalla pubblicità della industria alimentare. Infatti gli studi confermano che cattive abitudini alimentari sono associate a un maggiore esposizione mediatica.
Il sistema politico sembra in confronto soffrire di un ritardo culturale, evidenziato ad esempio da tendenze come quella a centralizzare la preparazione dei pasti delle scuole cittadine eliminando le cucine scolastiche e distribuendo alle scuole pasti precotti. Scelte di questo tipo sono basate su confronti dei costi delle varie alternative ma non tengono conto dei loro diversi benefici in termini del benessere dei ragazzi e del loro rapporto col cibo. Non tengono cioè conto del fatto che abbiamo un problema di rapporto con il cibo in Occidente, reso spettacolare dalla epidemia di obesità e disturbi dell’alimentazione tipo anoressia e bulimia.
L’Italia in materia di cultura alimentare parte avvantaggiata rispetto a tanti altri paesi. È un vantaggio importante che secondo molti si riflette nella salute e nella longevità degli italiani, tra le più elevate al mondo. È un vantaggio che si sta perdendo e che invece è urgente proteggere, coltivare e rafforzare.
Una strada da battere è quella di campagne per l’educazione alimentare da condursi soprattutto nelle scuole e da mettere in pratica nelle mense pubbliche. L’educazione alimentare è un aspetto molto importante in un contesto di deterioramento degli aspetti socio-culturali dell’alimentazione. La crescita della cultura dell’alimentazione è inoltre elemento essenziale di una transizione ad una agricoltura sostenibile trainata da uno spostamento progressivo della domanda verso prodotti sostenibili.
Stefano Bartolini insegna Economia della Felicità ed Economia Politica all’Università di Siena. Ha pubblicato numerosi saggi su prestigiose riviste accademiche internazionali. Per Aboca Edizioni ha pubblicato Ecologia della Felicità. Collabora con la Waseda University di Tokyo e ha collaborato con importanti istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, l’OCSE e l’IPSP (International Panel on Social Progress).