È GUERRA ANCHE AL FUTURO GREEN

di Gavin Harper

Lo stop europeo alle importazioni di gas e altri combustibili dalla Russia dovrebbe accelerare la verso la green energy. Ma da dove provengono platino, palladio, zinco, litio, cobalto, fosfato e altri materiali essenziali per la decarbonizzazione?

L’UE importa il 40% del gas naturale dalla Russia e la Russia esporta ogni giorno cinque milioni di barili di petrolio greggio, dei quali quasi la metà è destinata all’Europa. I guadagni derivanti dai combustibili fossili finanziano l’invasione di Putin in Ucraina, per questo la Commissione europea ha recentemente annunciato l’intenzione di azzerare le importazioni russe di combustibili per i prossimi dieci anni.

Un’azione decisiva da parte delle principali economie al fine di ridurre le importazioni di carbone, petrolio e gas da uno dei più grandi esportatori del mondo, che potrebbe accelerare la transizione verso la green energy a livello globale. Ma qui arriva l’intoppo. Il blocco della fornitura di metalli e di altri materiali fondamentali causato dalla guerra in Ucraina potrebbe mettere in stallo il processo di diffusione di tecnologie alternative.

Ad esempio, la decarbonizzazione richiederà grandi quantità di energia elettrica rinnovabile e nuovi metodi per trasferirla e immagazzinarla. I paesi che fino ad ora importavano grandi quantità di carburante russo dovranno sostituire le tubazioni e i depositi con nuove reti di trasmissione e batterie. Le tecnologie in questione tendono ad essere realizzate utilizzando metalli e materiali difficili da reperire. Purtroppo, sia la Russia che l’Ucraina rappresentano una parte significativa dell’offerta.

Il platino e il palladio sono metalli preziosi utilizzati per realizzare catalizzatori: dispositivi che riducono la concentrazione di inquinanti atmosferici nelle emissioni dei veicoli con motori a combustione interna. Nei prossimi anni, questi metalli saranno utilizzati anche per produrre pile a combustibile per automobili e autobus che funzionano a idrogeno pulito.

L’iniezione di idrogeno nei gasdotti potrebbe sostituire in parte il gas naturale che attualmente viene usato per riscaldare le case e generare elettricità, sulla scia di una strategia più ampia per eliminare gradualmente il combustibile fossile. Le macchine in grado di produrre combustibile a idrogeno che separano le molecole d’acqua tramite l’elettricità sono chiamate elettrolizzatori e vengono realizzate con platino e palladio, tra le altre cose.

Più del 35% del palladio mondiale proviene dalla Russia. Nornickel, il maggiore produttore, ha sede a Mosca e gestisce il 40% delle miniere da cui deriva la produzione mondiale di palladio. Anche per quanto riguarda il platino, il 12% dell’offerta globale proviene dalla Russia.

Litio, nichel e cobalto sono metalli utilizzati nelle batterie dei veicoli elettrici (EVB). Le regioni del Donbas in scissione dall’Ucraina possiedono abbondanti riserve di litio. Il Paese non è attualmente un grande produttore di litio, ma ha attirato l’attenzione su di sé per le proprie riserve prima dell’invasione. La produzione nella regione si è arrestata a causa della guerra.

La maggior parte del cobalto mondiale proviene dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo, dove avvengono atroci violazioni dei diritti umani. La Russia è il secondo produttore, responsabile del 4% dell’offerta globale. Mentre i produttori di EVB si danno da fare per sostituire il cobalto con quantità sempre maggiori di nichel di alta qualità, il 10% della fornitura globale di nichel proviene dalla Russia.

L’interruzione di questa fornitura a seguito della guerra ha recentemente costretto la London Metal Exchange a sospendere il commercio per la prima volta dal 1985, in quanto il prezzo del nichel ha raggiunto i 100.000 dollari (76.000 sterline) a tonnellata. Secondo la banca d’affari Morgan Stanley, l’aumento del costo del nichel potrebbe far innalzare fino a 1.000 dollari in più il prezzo di un veicolo elettrico.

QUALI SONO LE ALTERNATIVE?

C’è qualche speranza che in futuro le batterie vengano progettate in modo da poter fare a meno di cobalto e nichel. Ma il successo non è garantito neanche in questo caso, in quanto la Russia è il quarto produttore di fosfato di roccia, una materia prima utilizzata nelle batterie al litio-ferro-fosfato (uno dei principali progetti alternativi).

Tramite il riciclaggio delle EVB in futuro si potrebbero reperire i materiali in questione, ma, fino a quando queste non giungeranno al termine del loro ciclo di vita, le quantità non saranno sufficienti. Le batterie agli ioni di litio hanno una durata compresa tra otto e dieci anni, ma alcune durano più a lungo o vengono riusate per altri scopi.

La domanda globale di minerali di terre rare sarà impossibile da soddisfare negli anni a venire. Tra questi sono inclusi il neodimio e il disprosio, che vengono utilizzati per costruire magneti di grande potenza per generatori di turbine eoliche e motori efficienti per veicoli elettrici.

La Russia ha in mano solo il 2% circa della produzione globale di terre rare; pertanto, l’impatto immediato della guerra sarà probabilmente limitato. Tuttavia, il Paese detiene notevoli riserve non ancora sfruttate. Nel 2020, la Russia ha annunciato una quantità di investimenti pari a 1,5 miliardi di dollari da far fruttare nel settore delle terre rare. Al momento essa non dispone dell’industria e della tecnologia necessarie per raffinare questi materiali ed inserirli nel mercato, ma, con l’obiettivo di svilupparsi in questo settore, potrebbe precludere ad altri paesi la possibilità di entrarvi.

Il bilancio umano della guerra di Putin all’Ucraina è incalcolabile, e anche i costi del cambiamento climatico verranno pagati su scala globale se le emissioni di carbonio continueranno ad aumentare. Le nuove catene di fornitura impiegano anni a svilupparsi, in alcuni casi decenni, e con l’urgente imperativo di una rapida decarbonizzazione, il mondo non si trova di fronte a opzioni facili per alimentare la sua transizione verde.

 

Gavin Harper è Research Fellow al Birmingham Centre for Strategic Elements & Critical Materials della University of Birmingham. 
Qui la sua bio.

Questo articolo è apparso su The Conversation, che ringraziamo.

 

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