IL TICCHETTIO DELL’OROLOGIO BIOLOGICO

Abbiamo dichiarato guerra alla notte, in nome di una società e di un’economia che rimangono in attività 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Eppure sappiamo che il nostro corpo ha bisogno delle sostanze giuste nel momento più adatto della giornata. Metabolismo, memoria, crescita, riproduzione: c’è un tempo per ogni cosa.

La storia della scoperta dei meccanismi circadiani è appassionante. Coinvolge una timida mimosa, grotte e birrerie, una lanterna sul comodino e parecchi termometri, un geniale dissidente, la forza chiamata “trascinamento” e una specie di jetlag. Leggerla significa capir(si) e vivere meglio. 

Dopo questa prima panoramica sui meccanismi del sonno, ecco ancora un brano dall’Introduzione al fondamentale libro L’arte di dormire bene 

 

La radicata arroganza che accompagna l’essere umano fa sì che la maggior parte di noi presuma di essere al di sopra del bieco mondo delle esigenze corporali e di poter fare ciò che vuole, in qualsiasi momento decida di farlo. Questo presupposto è alla base della moderna società 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e di un’economia che dipende dai lavoratori che fanno i turni di notte per rifornire i supermercati, pulire gli uffici, gestire i servizi finanziari globali, proteggerci dal crimine, riparare le infrastrutture ferroviarie e stradali e, naturalmente, prendersi cura dei malati e degli infortunati, nel momento in cui sono più vulnerabili. Tutto questo avviene mentre la maggior parte di noi dorme, o almeno cerca di dormire. 

Sebbene il lavoro organizzato con turni di notte sia un evidente perturbatore dell’orologio interno e del sonno, molti riducono la durata del riposo poiché cercano di comprimere un numero sempre maggiore di attività lavorative e di svago in un programma giornaliero già sovraccarico, al limite dell’esplosione. Così spingono queste attività “aggiuntive” nella fascia notturna. Occupare in modo massiccio le ore notturne è stato possibile grazie alla diffusione della luce elettrica in tutto il mondo, a partire dagli anni Cinquanta. Questa straordinaria e meravigliosa risorsa ci ha anche permesso di dichiarare guerra alla notte e, senza rendercene conto, abbiamo gettato via una parte essenziale delle nostre funzioni biologiche.

Con tutta evidenza, non siamo in grado di fare ciò che vogliamo a qualsiasi ora lo vorremmo. I nostri meccanismi fisiologici sono regolati da un orologio interno di 24 ore che ci consiglia quando è il momento migliore per dormire, mangiare, pensare e svolgere una miriade di altri compiti essenziali. Questa regolazione interna quotidiana ci permette di funzionare in maniera ottimale in un mondo dinamico, “sincronizzando” i processi biologici in base ad esigenze primarie imposte da un ciclo giorno/notte generato dalla rotazione di 24 ore della Terra sul proprio asse. Affinché il nostro organismo funzioni correttamente, abbiamo bisogno di adeguate sostanze, al posto giusto, nelle opportune quantità, nel momento più adatto della giornata. Migliaia di geni devono essere accesi e spenti in un ordine specifico. Proteine, enzimi, grassi, carboidrati, ormoni e altri composti devono essere assorbiti, scomposti, metabolizzati e prodotti in un momento specifico per la crescita, la riproduzione, il metabolismo, il movimento, la formazione della memoria, la difesa e la riparazione dei tessuti. Tutto questo richiede meccanismi e processi preparati e pronti al momento giusto della giornata. Senza questa regolazione precisa da parte di un orologio interno, la nostra intera struttura organica sarebbe nel caos.

Per essere una branca relativamente nuova della biologia e un ramo emergente della medicina, la scienza degli orologi interni affonda le sue radici in un passato più remoto di quanto ci si potrebbe aspettare, dato che risale alla fine degli anni Venti del secolo scorso, e in particolare allo studio di una pianta nota come Mimosa pudica, o sensitiva. Questa specie, che appartiene alla stessa famiglia dei piselli, ben nota ai giardinieri, ha foglie delicate che si ripiegano verso l’interno e si abbassano quando vengono toccate o scosse, per poi riaprirsi pochi minuti dopo. Oltre a rispondere al tocco, le foglie si ripiegano di notte e si aprono durante il giorno.

Jean-Jacques d’Ortous de Mairan, uno scienziato francese, ha studiato queste piante. La sua osservazione fondamentale, relativa alla storia che stiamo prendendo in esame, è stata che le foglie di Mimosa continuano a ripetere il movimento ritmico di chiusura e apertura per diversi giorni anche nella completa oscurità. Lo studioso ne era rimasto stupito; chiaramente non erano le variazioni della luce solare a guidare questo ciclo, quindi ipotizzò che poteva trattarsi della temperatura. I cambiamenti giornalieri nella temperatura furono studiati nel 1759 da un altro scienziato francese, Henri-Louis Duhamel du Monceau, che portò delle piante di Mimosa in una miniera di sale, dove c’erano condizioni costanti di temperatura e buio, scoprendo che il ritmo di apertura e chiusura proseguiva. Più di cento anni dopo, nel 1832, uno scienziato svizzero, Alphonse de Candolle, studiò le piante di Mimosa in un ambiente stabilizzato, e dimostrò che il ciclo fogliare non era di 24 ore esatte, bensì di circa 22-23 ore.

Nei successivi centocinquant’anni, in molte piante e animali furono osservati ritmi giornalieri che si mantenevano in condizioni costanti con un periodo che si approssimava alle 24 ore. Tali cicli sono stati in seguito chiamati ritmi circadiani (dal latino circa diem, ossia intorno a un giorno).

 

Tuttavia, la presenza di tali ritmi circadiani negli esseri umani è stata scoperta relativamente tardi. Le ipotesi sulla loro esistenza sono emerse dalle osservazioni effettuate alla fine degli anni Trenta da Nathaniel Kleitman. Dal 4 giugno al 6 luglio 1938 Kleitman e il suo studente Bruce Richardson rimasero all’interno della Mammoth Cave, nel Kentucky. Non c’era luce naturale e la temperatura si manteneva sui 12,2°C. L’ambiente era illuminato da lanterne, quindi le condizioni non erano del tutto costanti. Inoltre, dovevano condividere la grotta con una nutrita popolazione di topi e scarafaggi curiosi. Per evitare che strisciassero nelle lenzuola, le quattro gambe del letto a castello nel quale dormivano erano state inserite in grandi barattoli contenenti disinfettante. I due ricercatori registrarono le fasi di sonno e di veglia e misurarono l’andamento quotidiano della temperatura corporea. Queste osservazioni mostravano che persistevano cicli di circa 24 ore riguardo alla temperatura corporea e al ritmo sonno/veglia.

La vera importanza di queste scoperte è stata valutata solo negli anni Sessanta. Uno dei pionieri del settore, Jürgen Aschoff, fece costruire un bunker sotterraneo ad Andechs, una città della Baviera nella quale è presente un monastero benedettino che produce birra dal 1455. Gli studenti dell’università, quando non si ritrovavano nella birreria, venivano alloggiati nel bunker sotterraneo, illuminato da una luce fioca e costante, isolati dal mondo, in assenza di indicazioni temporali provenienti dall’ambiente esterno. Potevano però utilizzare una lampada da comodino. Quindi, anche in questo caso le condizioni di illuminazione non erano costanti. I cicli sonno/veglia degli studenti, la temperatura corporea, la produzione di urina e altri output sono stati misurati per molti giorni, dimostrando che i soggetti in questione, in condizioni semi-costanti, seguivano un modello ritmico giornaliero di circa 24 ore. 

Mediante questi esperimenti, si è stimato che l’orologio interno umano ha un periodo di circa 25 ore. Studi più recenti condotti dal gruppo di Charles Czeisler dell’Università di Harvard indicano che l’orologio umano medio ha un periodo che si avvicina alle 24 ore e 11 minuti. Questa differenza è sempre stata un punto di attrito tra Aschoff e il team di Harvard. Oggi si ritiene che sia stata causata dall’uso delle lampade da comodino negli esperimenti nel bunker. Aschoff era un uomo straordinario e ho imparato molto da lui, dal punto di vista sia scientifico che sociale. Vi racconto un aneddoto. Circa venticinque anni fa, durante una festa della scuola estiva in Baviera, stappai una bottiglia di vino. Diversi minuti dopo, Aschoff si alzò in piedi: “Chi ha lasciato il turacciolo sul cavatappi?”. Ammisi di essere stato io e lui disse a tutti: “Non si lascia mai il turacciolo sul cavatappi, è il massimo della maleducazione”. Da allora non l’ho più fatto!

Negli anni Sessanta i ritmi circadiani, che persistono (freerun) in condizioni costanti e hanno un periodo non perfettamente corrispondente alle 24 ore, erano stati identificati in molte piante e animali diversi tra loro, compresi gli esseri umani. E tutti (beh, quasi tutti) accettavano che questi ritmi fossero generati biologicamente, ovvero che fossero endogeni. Come in tutti i campi della scienza, a meno che non si viva sotto una dittatura, non c’è mai un accordo completo su qualcosa. Ma il dissenso è positivo, perché fa sì che gli scienziati affinino i loro esperimenti per costruire una base di prove ancora più solida a sostegno dell’ipotesi che viene testata. 

Il dissidente più importante è stato il professor Frank Brown della Northwestern University di Chicago. Egli riteneva che i ritmi biologici fossero guidati da qualche ciclo geofisico naturale, come l’elettromagnetismo, la radiazione cosmica o qualche altra forza ancora sconosciuta. L’argomento centrale di Brown, non irragionevole, era che nessun processo biologico poteva essere indipendente dalla temperatura. Quando aumenta la temperatura le reazioni chimiche accelerano, mentre il suo abbassamento le rallenta. Ma affinché un orologio segni il tempo in modo preciso, deve funzionare sempre alla stessa velocità. Erano quindi necessarie altre osservazioni, e gli studi su piante e insetti (a sangue freddo) dimostrarono che gli orologi biologici mantenevano effettivamente lo stesso periodo, nonostante le consistenti alterazioni della temperatura ambientale. Brown si sbagliava, ma la sua sfida ha portato a esperimenti che hanno dimostrato in modo definitivo che gli orologi biologici funzionano con un’effettiva capacità di adattamento termico. Gli orologi endogeni di 24 ore erano pertanto una realtà!

Un orologio interno permette non solo di conoscere il tempo, ma anche di prevedere il suo scorrere, o almeno di prevedere eventi regolari nell’ambiente. Come già detto, il nostro corpo ha bisogno di sostanze adeguate, al posto giusto, nelle opportune quantità, nel momento più adatto della giornata, e un orologio può anticipare queste diverse esigenze. Avvertendo il giorno che si avvicina, il nostro corpo si prepara in anticipo, in modo che il nuovo ambiente possa essere sfruttato immediatamente. La pressione sanguigna e il tasso metabolico, insieme a molti processi biologici, aumentano prima della nuova alba. Se ci limitassimo a reagire alla luce dell’alba per passare dal sonno all’attività sprecheremmo tempo prezioso necessario a mettere a punto per l’azione il nostro consumo energetico, i sensi, il sistema immunitario, i muscoli e il sistema nervoso. Ci vogliono diverse ore per passare dal sonno all’attività, e una biologia poco adattiva sarebbe un grande svantaggio nella battaglia per la sopravvivenza.

Finora sono state prese in esame due delle tre caratteristiche essenziali per un orologio circadiano interno: la capacità di ‘tenere il passo’ per un periodo di circa 24 ore in condizioni costanti, e quella di mantenersi in azione per un lasso di tempo vicino alle 24 ore, anche quando le temperature ambientali variano drasticamente, mostrando un adattamento termico. La terza caratteristica è chiamata ‘trascinamento’; questa proprietà è sempre più importante e sarà discussa in dettaglio nel capitolo 3. Forse sono un po’ prevenuto sull’importanza del trascinamento, perché è su questo che ho lavorato per la maggior parte della mia carriera!

Come già detto, gli orologi circadiani non sono regolati esattamente su 24 ore, ma hanno un andamento ritmico oscillante più veloce o più lento. In questo modo, i ritmi circadiani assomigliano a un vecchio orologio meccanico del nonno, che ha bisogno di una messa a punto quotidiana, di una sincronizzazione, in modo da assicurarsi che sia impostato sul “reale” giorno astronomico. Senza questa regolazione costante, l’orologio andrà presto alla deriva e non sarà più allineato (freerun) con il ciclo giorno/notte dell’ambiente in cui è immerso. Un orologio biologico è inutile se non è impostato sul tempo locale. Per la maggior parte delle piante e degli animali, compresi noi, il segnale di “trascinamento” più importante che allinea il giorno interno al mondo esterno è la luce, in particolare i cambiamenti di luce intorno all’alba e al tramonto. 

In noi e in altri mammiferi, l’occhio rileva l’alba e il tramonto per regolare i ritmi circadiani, e la perdita della vista impedisce questa reimpostazione. Le persone che hanno subito danni agli occhi a causa di una malattia degenerativa o di un tragico incidente vanno alla deriva nel tempo, sperimentando periodi in cui si alzano e vanno a letto, per alcuni giorni, all’ora corretta, per poi allontanarsi ancora da questo andamento e tornando a dormire, mangiare ed essere attivi nel momento sbagliato della giornata. Un orologio corporeo regolato su un periodo di 24 ore e 15 minuti impiegherebbe circa 96 giorni per passare da mezzogiorno di nuovo a mezzogiorno, ritardando ogni giorno di 15 minuti. Le persone non vedenti sperimentano qualcosa di simile ad un jet lag costante. Diventano “ciechi temporali”, uno stato di cui parlerò in dettaglio nei capitoli successivi.

 

Russell Foster (1959) è professore di Neuroscienze circadiane. Dirige l’istituto di Neuroscienze circadiane e del sonno e il laboratorio di Oftalmologia dell’Università di Oxford. Le sue scoperte sui fotorecettori oculari hanno ricevuto numerosi premi. Il suo TED talk Why Do We Sleep ha superato gli 8,5 milioni di visualizzazioni.

 

Su Aboca Life Magazine ci siamo occupati spesso del sonno, che tanto influisce sulla nostra salute. Per approfondire, leggete qui e qui e qui.

 

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